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Tutela della proprietà intellettuale e AI: le questioni aperte

Robot’s Hand Holding an Artificial Intelligence Computer Processor Unit. 3d illustration

“La volpe e il futuro” è il primo libro per bambini in italiano scritto e illustrato tramite Ai, creato dal collettivo Roy Ming. Infatti, è stato realizzato utilizzando ChatGPT – sviluppato da OpenAI – cioè una chat di intelligenza artificiale che è stata addestrata e progettata per simulare conversazioni tra esseri umani, sia in forma scritta che attraverso comandi vocali.

Indigo.ai” è una piattaforma Ai conversazionale made in Italy che permette di progettare e costruire chatbot e interfacce conversazionali personalizzati.

Un altro esempio di app-chatbot italiano gratuito è “Talbot” che, attraverso la sua intelligenza artificiale, si può utilizzare per chattare direttamente con il robot o come assistente per chiedere informazioni.

Il valore dell’AI in Italia

Questi sono solo alcuni esempi che mostrano come in Italia la cultura dell’intelligenza artificiale sia molto diffusa. Il nostro Paese nella classifica degli Stati più attivi nella ricerca sull’Ai si trova al nono posto, con oltre 45mila paper scientifici sul tema. In un solo anno il mercato dell’AI in Italia è cresciuto del 32% rispetto al 2021, raggiungendo i 500 milioni di euro (73% commissionato da imprese italiane e 27% rappresentato da export di progetti). Il Natural Language Processing è la soluzione più diffusa nel nostro Paese, seguito dal Recommendation System e dall’Intelligent Robotic Process Automation. A livello globale, il mercato dell’IA potrebbe raggiungere i 387 miliardi di dollari di fatturato entro la fine dell’anno e secondo i numeri di Globenewswire, i ricavi potrebbero aumentare del 260% entro il 2029, superando il triliardo grazie a un tasso di crescita annuo composto del 20% per i prossimi sette anni.

A tutela di questa progressione nel 2017 è stata costituita la Task Force IA dall’Agenzia per l’Italia digitale e nel 2021 è stato adottato il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale (IA) 2022-2024, frutto del lavoro congiunto del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, al fine di rendere l’Italia un centro sull’intelligenza artificiale competitivo a livello globale, rafforzando la ricerca e incentivando il trasferimento tecnologico.

Circuit board and AI micro processor, Artificial intelligence of digital human. 3d render

Gli investimenti delle aziende made in Italy

A dimostrazione dell’ormai ampia diffusione di questa tecnologia, oggi il 61% delle grandi imprese italiane ha già avviato almeno un progetto di AI, 10 punti percentuali in più rispetto a cinque anni fa. E tra queste, il 42% ne ha più di uno operativo. Tra le PMI, invece, il 15% ha almeno un progetto di AI avviato (nel 2021 era il 6%), quasi sempre uno solo, ma una su tre ha in programma di avviarne di nuovi nei prossimi due anni.

In Italia, ci sono numerose aziende attive nell’IA, come Leonardo, Reply, Exprivia, Expert System, Aitek, Aiko, Aindo, AIM, Contents, Vedrai, iGenius, Ammagamma, MDOTM, CyberDyne, YNAP Group, Asc27, Mopso, Screevo.ai, che sviluppano diverse soluzioni basate sull’Intelligenza Artificiale per migliorare la produttività, la gestione dei dati e dei processi produttivi e offrire soluzioni di monitoraggio e prevenzione dei guasti dei macchinari.

Un settore dunque in progressiva e velocissima evoluzione.

Proteggere la proprietà intellettuale delle opere create dall’Ai è possibile?

È necessario, però, evidenziare l’altro lato della medaglia: le opere create dalle macchine – e quindi da una creatività artificiale – pongono il problema della tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

«È giusto porsi il problema delle opere create da Ai, perché ci sono tante aziende che stanno investendo in questo settore e sarebbe sensato colmare l’attuale vuoto normativo», spiega l’avvocato Lucia Maggi, ceo della law firm 42LF sul Sole 24 Ore. «Tutto dovrebbe ricadere sull’inventore», aggiunge.

Ma come si possono proteggere le numerose invenzioni frutto dell’Ai? È proprio su tale tema che si concentra il contributo su Wired dell’avv. Simona Lavagnini, Segretario del comitato esecutivo del Gruppo italiano di AIPPI, l’Associazione Internazionale per la Protezione della Proprietà Intellettuale. L’avvocato precisa che «se da una parte è importante remunerare il creatore dell’invenzione, in modo da incentivarne il lavoro, dall’altra le opere dell’ingegno sono beni immateriali e, quindi, non rivali: il loro utilizzo simultaneo da parte di più soggetti non ne diminuisce il valore» ma anche che «si dovrebbe riflettere sulla opportunità di evitare quanto più possibile l’utilizzo del know-how per la tutela dell’Ai, privilegiando invece soluzioni basate sulla trasparenza, anche tramite soluzioni de iure condendo. In questo scenario tutti i sistemi di Ai, anche quelli cosiddetti di machine learning, per ottenere la tutela dovrebbero essere progettati in modo tale che gli algoritmi dell’Ai siano costantemente accessibili ed espressi in linguaggio comprensibile all’essere umano, in modo tale da renderli controllabili sia ad origine sia nel loro sviluppo».

Un sondaggio dello studio legale internazionale Dentons ha mostrato come il 58% degli intervistati ritiene che i diritti dell’opera spettino a chi usa la macchina, il 20% che siano appannaggio dell’inventore del sistema. Solo il 4% pensa che si possano attribuire al sistema stesso.

«Bisogna innanzitutto capire di quale tipo di Ai si parla: semplice strumento di ausilio all’attività umana o strumento evoluto, con un’autonomia tale da assumere decisioni creative indipendenti. E bisogna distinguere anche il tipo di prodotto: se ricade nella sfera del diritto d’autore, del design, o dei brevetti per invenzione», afferma Federico Fusco, partner in Dentons e membro della practice di Proprietà intellettuale e tecnologie.

Cyborg hand finger background, technology of artificial intelligence

Sempre l’avvocato Lavagnini di AIPPI ricorda che la questione in in Italia è stata recentemente affrontata sia dalla “Cassazione (sentenza 14381/2021), sia dal Consiglio di stato (sentenza 881/2020). In entrambi i casi le corti hanno stabilito che l’interesse collettivo debba prevalere sulla protezione dell’Ai, e in particolare escludere l’applicazione della tutela propria dei segreti industriali”.

La collaborazione tra uomo e macchina è sempre esistita: solo negli ultimi tempi il contributo di quest’ultima è divenuta più pesante. Nonostante ciò, è l’uomo che ne sopporta i costi e rischi in quanto è lui l’imprenditore, il capo. Su tale questione si è espressa Elisabetta Berti Arnoaldi dello studio Sena & Partners, affermando che «è al genere umano che competono i diritti di esclusiva e la possibilità di perseguire le eventuali violazioni. Una regola esplicita nella disciplina del Copyright, design and patent act inglese del 1988. Lì si prevede che quando c’è un’opera creata da una macchina, come una banca dati, la titolarità del diritto d’autore sia del soggetto che ha in qualche modo organizzato le funzioni della macchina».

Gli interrogativi però permangono. Per questa ragioni da più parti, tra esperti e addetti ai lavori viene sollecitato un intervento legislativo nel breve periodo, in grado di rispondere alle esigenze dei soggetti coinvolti, così da chiarire tutele e perimetri di azioni, individuando il regime applicabile alle opere create da sistemi di Ai, anche con un contributo minimo dell’uomo.

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