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Tax art e riforma fiscale tra intento speculativo e flat tax. Il commento di Belli Contarini

Edoardo Belli Contarini

di Edoardo Belli Contarini, Avvocato e partner dello Studio legale tributario Fantozzi & Associati

Come verranno tassati i proventi da cessione di opere d’arte realizzati dai dealer non abituali? Il ddl di riforma fiscale del 23 marzo colma il vuoto normativo, introducendo l’obbligo di assolvere l’IRPEF progressiva, riconducendo le plusvalenze tra i redditi diversi (art. 67 del TUIR), a meno che non sussista alcun intento speculativo; concetto quest’ultimo affatto nuovo, ma troppo vago. Un rimedio peggiore del male che si intende curare ovvero l’incertezza normativa, tanto più se si considera che il legislatore poteva optare per una valida alternativa, la flat tax. Ma procediamo per gradi.

Per dirimere la disputa sulla imponibilità dei guadagni realizzati dai collezionisti di quadri, oggetti di antiquariato, monete e simili, l’art. 5 del ddl contempla la tassazione IRPEF progressiva – invece che un’imposta sostitutiva proporzionale – fatta eccezione per le ipotesi di assenza di finalità speculative, come nei casi di acquisizione dei cespiti per successione o donazione, di permuta con altre opere oppure di reinvestimento del corrispettivo entro un congruo lasso di tempo in altri oggetti della stessa natura. Al di fuori di questi casi, a chiusura del sistema, le plusvalenze vengono ricondotte nell’art. 67, lett. i) del TUIR, e quindi tra i proventi derivanti dalle attività commerciali non abituali.

Secondo la relazione illustrativa, l’intervento normativo pone rimedio ad una situazione di incertezza giuridica, tant’è che viene prevista anche una disciplina transitoria; in effetti, l’obiettivo della certezza del diritto è un fil rouge che emerge spesso nel provvedimento (cfr. artt. 1-4, su cui ASSONIME, consultazione n. 9/2023 del 18.5.2023).

Ma al cospetto di tale pur meritevole iniziativa legislativa, qualche dubbio rimane; in un mercato finanziario asfittico, negli ultimi tempi i risparmiatori, gli speculatori e gli appassionati hanno investito negli asset digitali – criptovalute, NFT, token – e nelle opere d’arte, incassando guadagni cospicui.

È normale che il legislatore intervenga, come è accaduto di recente per le cripto-attività, i cui proventi sono stati ricondotti in una nuova categoria dei redditi diversi, nell’art. 67, lettera c-sexies) del TUIR, con tassazione IRPEF progressiva (cfr. art. 1, commi 126 e ss. legge 197/2022).

Ma prima di attrarre a tassazione progressiva, incluse le addizionali locali, pure il settore dell’arte sarebbe opportuno rifletterci. E’ ben vero che una delle criticità del sistema impositivo, al cospetto del principio di progressività (art. 53 Cost.), sconsiglierebbe un’altra flat tax, anche perché il regime IRPEF ne risulta inflazionato; ad esempio, la cedolare secca per le locazioni degli immobili abitativi, che verrà estesa ai cespiti ad uso commerciale, il regime forfetario per i contribuenti minori e le nuove attività, la tassazione sostitutiva dell’IRPEF per affrancare il valore fiscale delle partecipazioni e dei terreni, la flat tax per gli autonomi e, da ultimo, la flat tax incrementale).

Tuttavia, in taluni settori di nicchia, caratterizzati dalla peculiarità degli asset oggetto di scambio, dalla volatilità dei prezzi e dalla difficoltà di documentare i costi o i valori di provenienza, è preferibile, anche per ragioni di semplificazione della tassazione, un’imposta sostitutiva oppure una forfettizzazione che tenga conto in misura fissa degli oneri di provenienza e di conservazione delle opere, come già stabilito per le cessioni dei metalli preziosi (cfr. artt. 67 e 68 TUIR).

Inoltre, agganciare il prelievo all’animus lucrandi appare foriero di ingenerare incertezze; viene riesumato il fine speculativo, già sperimentato con scarso successo ai tempi della riforma degli anni Settanta, rischiando piuttosto di aumentare l’incertezza normativa, considerata la genericità di un elemento psicologico sfuggente per definizione.

Tant’è vero che con l’entrata in vigore del dpr n. 917/1986, al fine di improntare l’IRPEF al principio di tassatività, gli artt. 76 e 80 del dpr n. 597/1973 – nel transitare nel nuovo art. 81, vigente art. 67 del TUIR – furono emendati; l’imposta personale veniva architettata come un “sistema a numero chiuso”, eliminando tra l’altro la rilevanza sia della finalità speculativa, sia dell’holding period delle opere d’arte, prestabilito in due anni, superato il quale non assumeva più rilievo il relativo realizzo.

Si rischia di ritornare al passato peggiorando la situazione, in un contesto normativo che, a ben vedere, già contiene in sé gli anticorpi ovvero le norme di chiusura per catturare materia imponibile (cfr. lettere i) ed l) dell’art. 67); a meno che, ripensandoci, non si opti per un altro trattamento di tipo sostitutivo o forfetario.

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