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Penale Riflessioni

Investigazioni interne, reputazione e comunicazione. Conversazione con Andrea Camaiora

Andrea Camaiora

Esperto in crisis e reputation management, tra i principali esperti di vicende mediatico giudiziarie in Italia, ha seguito alcuni dei casi più scottanti degli ultimi anni, più recentemente sia il processo sul crollo del ponte di Genova sia quello in Vaticano, Andrea Camaiora guida lo studio di comunicazione The Skill (Roma, Padova, Bari, Milano) e affianca come consulente alcuni dei più prestigiosi avvocati e studi legali a livello nazionale.

Da sinistra: Giuseppe Fornari e Enrico Di Fiorino

Da sinistra: Giuseppe Fornari e Enrico Di Fiorino

Con lui abbiamo cercato di affrontare un argomento poco dibattuto, ovvero il rapporto tra comunicazione e investigazioni interne. Le investigazioni interne sono uno strumento sempre più utile per la verifica del grado di conformità e dell’esistenza di potenziali illeciti ma manca un diritto delle indagini interne, nel senso che il nostro ordinamento ne è privo. «E’ così. Le indagini interne aziendali sono sempre più il mezzo per dare efficacemente e concretamente attuazione all’obbligo dei CdA di dotarsi di assetti organizzativi adeguati e capaci di prevenire situazioni patologiche e di crisi. Per questo, l’importanza e la frequenza delle indagini interne è destinata a impennarsi nei prossimi anni, al seguito di auspicabili novità normative. Già oggi lo strumento è andato diffondendosi:  dalle grandi imprese o a quelle che operano in settori regolamentati (banche, assicurazioni…) fino un po’ a tutte le realtà imprenditoriali. Se ne sono occupati diffusamente gli avvocati Giuseppe Fornari ed Enrico Di Fiorino, in un recente volume che attualmente è un po’ un riferimento nella letteratura scientifica».

Se la legge non codifica le indagini interne, però, vuol dire che l’argomento non è così dirimente. «Non è così se pensiamo al rilievo delle indagini interne ai fini del rispetto della stracitata 231 del 2001, della normativa sulla Dichiarazione Non Finanziaria, di quella sugli obblighi ESG oppure originati dalle direttive sulla sostenibilità. E anche se è vero che le segnalazioni volontarie dell’azienda alle autorità circa le possibili violazioni penali riscontrate in esito all’indagine non consentono di accedere ad alcuna esimente della responsabilità penale per la società, sul piano reputazionale, ovvero ciò che attiene alla mie sensibilità e competenze, ha un enorme valore in termini comunicativi, rispetto a quell’idea di responsabilità sociale che è ormai parte integrante del dna delle imprese più avanzate e che è riconosciuto come di profondo valore anche dalla magistratura. Poter rivendicare un comportamento responsabile – sottolinea nuovamente con forza Camaiora – anche se non esclude che venga esercitata l’azione penale rappresenta un argomento fortissimo sia dentro che fuori dall’aula. Anzi, è uno dei pochi argomenti che può essere immediatamente rivendicato nel momento in cui giunga notizia dell’avvio di un’inchiesta e conferisce credibilità a un soggetto altrimenti indebolito sul piano dell’affidabilità e dunque, in definitiva, della reputazione».

Dunque indagini interne come strumento di rafforzamento dei propri profili reputazionali? «Ma certo! E da questo punto di vista, poiché – per una serie di ragioni tecniche legate al legal privilege – l’orientamento delle aziende è conferire mandati ad avvocati penalisti per articolare l’indagine interna nel quadro delle ‘investigazioni difensive’, proteggendola nella cornice della riservatezza e del segreto professionale dell’avvocato penalista, sarà molto importante – prosegue Camaiora – che questo avvocato sia ritenuto credibile, autorevole, serio, per certi versi anche ‘scomodo’ nella sua alterità rispetto all’azienda e, possibilmente, con una pregressa esperienza, sia pratica sia scientifica, proprio nelle investigazioni interne. Che i procedimenti abbiano riflessi, ad esempio, squisitamente penali o giuslavoristici, comunicazione e reputazione sono materie che non possono essere più snobbate, come qualcuno si ostina ancora a fare, e neppure affidate alla supplenza dell’avvocato, sia pure di quello più versato in comunicazione. E ciò perché, pur bravo, non è quello il suo mestiere e perché, ci si augura, non dovrebbe avere il tempo per occuparsene. Perché appunto deve fare l’avvocato!».

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