Scrivi per cercare

Riflessioni

Il percorso normativo della Crisi d’Impresa

In esclusiva su Diritto & Affari pubblicati alcuni stralci di “Crisi d’impresa. Spunti d’insieme”, libro edito da The Skill Press e dedicato al nuovo codice della crisi d’impresa entrato in vigore il 15 luglio 2022. Il contributo in anticipazione è a firma di Francesco Rocchi, commercialista e commissario liquidatore dello studio Rocchi & Associati. Tra gli altri autori anche: Maria Grazia Alfisi e Cristiano Cerchiai (Legalitax Studio legale e Tributario), Francesco Giuliani e Valentina Guzzanti (Fantozzi & Associati Studio legale tributario), Luca Pasquini e Jacopo Villa (Carbonetti e Associati), Fabio Antonio Siena e Giacomo Gualtieri (Studio Bana) e Francesco Rizzo (Ernest&Young Studio Legale). La prefazione è di Andrea Camaiora, giornalista esperto in comunicazione di crisi.

Contributo estratto dal volume “Crisi d’impresa. Spunti d’insieme”, edito The Skill Press.

Vi è stata una progressiva evoluzione del complesso normativo e regolamentare della crisi d’impresa e dell’insolvenza nel senso di favorire sempre più soluzioni, anche di natura privatistica, idonee ad aumentare le chance di sopravvivenza dell’impresa intervenendo con anticipo nell’individuazione di potenziali “patologie” aziendali. Il legislatore ha voluto valorizzare la c.d. “seconda possibilità” sul presupposto del valore economico – sociale dell’impresa.

A partire dal 2005 si sono susseguiti numerosi interventi legislativi che, con l’obiettivo di salvaguardare le attività economiche ed i livelli occupazionali, hanno progressivamente potenziato gli strumenti di risoluzione concordata delle crisi d’impresa verso soluzioni più “simil – privatistiche”. Il legislatore italiano ha inteso allinearsi agli altri Stati membri dell’Unione Europea ed introdurre progressivamente una nuova disciplina per la regolamentazione della crisi e dell’insolvenza che semplifichi quella precedentemente esistente e sopperisca in modo agile e spedito alla conservazione dell’impresa e alla tutela dei creditori, seguendo le tendenze a considerare preminente, ove possibile, la conservazione dei mezzi organizzativi dell’impresa. Nel contempo, per il miglior perseguimento delle dette finalità, sono stati altresì enfatizzati ruoli, obblighi, competenze e responsabilità delle imprese e dei professionisti coinvolti a vario titolo nel processo di risanamento.

Premesso che la crisi d’impresa è senza dubbio un elemento perturbatore, si è progressivamente passati da un approccio di carattere “sanzionatorio” fondato su una presunzione di colpevolezza secondo la famosa formula del “decoctor ergo fraudator” (che si fa risalire a Baldo degli Ubaldi nella seconda metà del trecento), ad una concezione più anglosassone fondata sul fatto che per il mercato sia più importante consentire agli operatori (dopo la crisi e/o l’insolvenza) di avere una “seconda opportunità” d’impresa cercando di salvaguardare gli organismi produttivi. La crisi non come patologia bensì quale aspetto naturale dell’impresa legato al rischio che l’attività economica in quanto tale presenta. Un’iniziativa imprenditoriale può, naturalmente (e tralasciando ovviamente i casi in cui vi sono intenti fraudolenti) avere successo o meno; l’insuccesso quale evento fisiologico che potrebbe verificarsi così come una persona può godere di ottima salute ovvero ammalarsi sia per cause indipendenti dai suoi comportamenti sia per propria imprudenza. 

Per i Greci la parola “crisi” – “krisis” – corrispondeva al momento in cui è possibile formulare la diagnosi di una malattia ovvero il momento in cui appaiono sintomi molto netti di questo o di quel disturbo; indica una situazione grave che richiede una decisione ed è passata a definire in medicina l’insorgere di sintomi morbosi nel fisico o nella psiche di una persona e poi a definire una condizione di forte squilibrio in campo economico a livello generale o di specifici soggetti. La “crisi” è un concetto ampio, con più accezioni, che però hanno in comune alcuni tratti: stato morboso (della salute fisica e/o psicologica e/o economica) cui porre rimedio, ricercando le cause di quello stato ed i modi di superarlo. Pertanto, il discorso sulla crisi (segnatamente quella delle imprese) è legato alla ricerca del rimedio, cui si può ricorrere, badando alla sua efficacia, nell’interesse del soggetto in crisi e di tutti gli altri cointeressati. 

Ovviamente l’efficacia del rimedio è intrinsecamente correlata alla tempestività dell’intervento. Significativa è a riguardo la comparazione tra due rilevanti eventi del 2008. Il 15 settembre 2008 la Lehmann Brothers annunciò il proprio dissesto come conseguenza della crisi dei mutui sub – prime iniziata nell’estate dell’anno precedente per i quali la banca era fortemente esposta. Tra le tante cose, colpì il fatto di non essere stata salvata (too big to fail) dal governo americano o da istituzioni finanziarie che pure erano intervenuti in altri casi. Il 28 agosto 2009 Alitalia è stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria speciale della legge Marzano (procedura appositamente rimodellata, con un decreto – legge del giorno prima) per essere salvata ed assicurare un servizio pubblico con una compagnia di bandiera. Oggi la Lehman Brothers non esiste più ma i creditori chirografari sono stati soddisfatti per la massima parte (oltre il 70%) mentre l’Alitalia è ancora in amministrazione straordinaria e non ha pagato neppure tutti i creditori privilegiati (e, quindi, nessuno dei chirografari) e la “nuova” Alitalia è stata dichiarata insolvente e nuovamente assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria speciale.

Il diverso iter (ed i diversi risultati) sono, in estrema sintesi conseguenti alle differenze di carattere tecnico e di sistema nonché del correlato quadro normativo di riferimento, differenze che hanno profondamente inciso sull’efficienza nell’individuazione del momento del dissesto e nell’efficacia dei conseguenti interventi di gestione della crisi.

Il percorso evolutivo della gestione della crisi d’impresa nella rappresentata direzione di favorire una cultura del risanamento anziché dell’eliminazione delle imprese dal mercato, è, come detto, stato intrapreso dal nostro legislatore sostanzialmente a partire dal 2005. La tecnica utilizzata è stata quella della novellazione, ricorrendo peraltro spesso al metodo della decretazione d’urgenza.

Novità anche molto rilevanti come quelle della “privatizzazione” del concordato preventivo nonché sui contratti di risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa o di ristrutturazione del debito ed ancora della c.d. transazione fiscale e previdenziale, sono state chiuse e sincopate dentro la vecchia griglia normativa dove “il vecchio” non sempre si integra e si complementa con il “nuovo accentuando il divario tra le disposizioni riformate e quelle rimaste invariate che risentivano di una impostazione nata in un profondamente diverso contesto sia socio – economico che politico – temporale. La frequenza degli interventi normativi, di natura episodica ed emergenziale, intervenendo su disposizioni della legge fallimentare anche modificate da poco, ha generato rilevanti difficoltà applicative e la formazione di indirizzi giurisprudenziali non consolidati, con un incremento delle controversie pendenti ed il rallentamento dei tempi di definizione dei procedimenti solutori della crisi d’impresa, procedure concorsuali incluse.

Si è pertanto determinato un fenomeno analogo a quello che ha interessato il settore tributario ovvero interventi occasionali, contingenti e settoriali piuttosto che riorientare l’intero assetto normativo.

A ciò va poi aggiunto che i dati statistici a consuntivo davano evidenza di un ridotto numero di casi andati a buon fine ossia di operazioni di risanamento e/o ristrutturazione del debito e/o di concordati preventivi che ex post abbiano effettivamente rispettato le previsioni ex ante e, quindi, conseguito gli obiettivi che si intendevano raggiungere. Le cause sono essenzialmente attribuibili al fattore tempo ovvero da un lato ad un ancora tardiva azione di intervento rispetto all’effettivo momento in cui si iniziano a manifestarsi le condizioni di squilibrio finanziario (come detto, nella gestione di una crisi, la tempestività è elemento fondamentale) e da altro lato dall’iter procedurale normativamente previsto per i diversi istituti e della sua conseguente tempistica di attuazione soprattutto nei casi in cui vi è un ruolo da parte del Tribunale (l’efficienza necessaria nella gestione della crisi d’impresa è spesso incompatibile con l’inefficienza del sistema giudiziario italiano). 

Il concordato preventivo

È ormai opinione condivisa, tra gli studiosi e gli operatori del settore, quella che ravvisa in meccanismi di tipo negoziale – primo tra tutti il concordato preventivo – gli strumenti più efficaci, se correttamente adoperati, per risolvere positivamente le crisi d’impresa o per recuperare le potenzialità aziendali tuttora presenti in situazioni di insolvenza non del tuttoirreversibile. Nell’ultimo decennio il legislatore si è perciò indirizzato a favorire, nei limiti del possibile, il ricorsoall’istituto concordatario, e nulla lo ha ora indotto a sovvertire tale linea di condotta, pur con i contemperamenti che l’esperienza ha già mostrato essere necessari per evitare possibili abusi in danno dei creditori.

La maggiore flessibilità che le riforme dell’ultimo decennio hanno assicurato all’istituto del concordato preventivo è certamente alla base del notevole incremento fatto registrare nel numero delle domande di ammissione a tale procedura. In molti casi, tuttavia, le proposte concordatarie hanno continuato ad assumere il tradizionale contenuto della cessione dei beni, che raramente rappresenta per i creditori una soluzione davvero più vantaggiosa rispetto alla liquidazione fallimentare, e che neppure, ovviamente, salvaguarda in modo più efficace l’eventuale valore residuo

dell’impresa. Il favore per l’istituto concordatario si giustifica, invece, principalmente quando esso valga a garantire la continuità aziendale e, per suo tramite, ricorrendone i presupposti, riesca altresì ad assicurare nel tempo una migliore soddisfazione dei creditori.

Muovendo da tale empirica constatazione, è stato incentivato il ricorso al concordatoincontinuità: quando cioè, vertendo l’impresain situazione di crisi o anche in insolvenza, la proposta preveda il superamento di tale situazione mediante la prosecuzione (diretta o indiretta) dell’attività aziendale, sulla base di un adeguato piano che consenta, al tempo stesso, di salvaguardare il valore dell’impresa e, tendenzialmente, i livelli di occupazione, con il soddisfacimento dei creditori. La proposta liquidatoria è annessa solo se essa si avvalga di risorse poste a disposizione da terzi (c.d. nuova finanza) cheaumentino in modo significativo le prospettive di soddisfacimento per i creditori. Solo a questa condizione, infatti, ilconcordato, che rappresenta indubbiamente un vantaggio per l’imprenditore – il quale mantiene l’amministrazione dei propri beni ed è esposto a rischi più limitati sotto il profilo della responsabilità penale – diviene conveniente anche per i creditori, i quali otterrebbero altrimenti dal concordato addirittura meno di quanto potrebbero conseguire dalla liquidazionegiudiziale (ex fallimento), attesi i maggiori costi che la procedura di concordato comporta. Quanto allo svolgimento dellaprocedura, senza stravolgere in modo superiore al necessario l’attuale disciplina, sono state introdotte alcune misure di semplificazione, dirette a rendere il procedimento più snello e più celere.

Il piano di risanamento e il ruolo dei professionisti

Per rispondere alle “nuove” esigenze nell’organizzazione e nel controllo dell’impresa essenzialmente finalizzato, come detto, ad intercettare in via anticipata gli “indizi di crisi”, vi è anche la necessità di avere una sempre più specializzata ed integrata assistenza da parte di professionisti che devono lavorare in sinergia tra loro.

L’obiettivo primario del legislatore della crescita della cultura aziendale e dei controlli per la prevenzione e/o la più efficiente gestione della crisi d’impresa, comporta necessariamente anche una conseguente evoluzione del mondo professionale che dovrà progressivamente allontanarsi da una “cultura prevalentemente individualistica” tipica del nostro Paese per evolversi verso modelli integrati di assistenza multi disciplinare. Il coordinamento delle attività, la reciproca “collaborazione” e l’interscambio di informazioni tra i professionisti che assistono l’impresa e tra questi e le preposte strutture e funzioni aziendali, sono, infatti, sempre più indispensabili per l’attuazione del risanamento e/o la gestione della crisi. I professionisti, nel rispetto dei diversi ruoli che possono assumere, hanno importante funzione di assistere e supportare l’imprenditore sia nell’identificazione delle possibili soluzioni per risanare o ristrutturare l’attività sia nella trattativa con i creditori sia, infine, nella corretta interlocuzione con gli “organi” previsti nei diversi istituti e/o con il Tribunale, ove sia previsto un intervento “giudiziale”.

Un Piano di risanamento – sia nell’ambito di specifici istituti previsti dal CCI sia derivanti da un procedimento di composizione negoziata avanti l’esperto facilitatore – presuppone l’esistenza di uno squilibrio patrimoniale o economico – finanziario nonché la volontà del management di ripristinare le fisiologiche condizioni di attività aziendale. Ha, pertanto, una significativa rilevanza non solo per gli estensori ma anche per i molti stakeholders aziendali ossia, in estrema sintesi, per i creditori e i terzi sui quali il Piano incide (ad esempio soci non coinvolti nella gestione, organi di controllo societario ed eventuali autorità di vigilanza, dipendenti, clienti, banche o altri finanziatori, ecc). Il fine è quello di far convergere il consenso degli stakeholders verso l’azione di risanamento affinché aderiscano al progetto contribuendovi con risorse operative o finanziarie ovvero con l’adesione ai sacrifici richiesti. In questa prospettiva, è un documento che presuppone una comunicazione rivolta sia all’interno sia verso soggetti esterni l’azienda.

La redazione del Piano, di norma, trae origine dal management (e, in tal senso, rileva l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile a cui fa riferimento il modificato art. 2086 c.c.) adeguatamente assistito da professionisti specializzati anche al fine di identificare la tipologia e la modalità del percorso di risanamento.

I professionisti che affiancano e supportano il management sono usualmente qualificati come advisor e possono generalmente suddividersi in advisor industriale / strategico e advisor finanziario.

L’advisor industriale strategico ha il compito di valutare la situazione aziendale identificando le azioni che potrebbero permettere all’azienda di superare le criticità e realizzare gli obiettivi strategici.

L’advisor finanziario deve, invece, analizzare il fabbisogno finanziario che deriva dal Piano (a riguardo è opportuno che l’analisi finanziaria sia consequenziale ad una preventiva analisi industriale). Tale attività, nella prassi, si concretizza, di concerto con i responsabili della direzione finanziaria dell’impresa, nell’analisi della composizione dei flussi di cassa prospettici e della coerenza tra (i) impegni finanziari previsti, (ii) flussi di cassa disponibili e (iii) altre risorse finanziarie a disposizione.

Vi è, poi, l’opportunità che il management nella predisposizione del Piano si avvalga di ulteriori competenze specialistiche, ad esempio in materia tributaria e/o di lavoro.

Alle dette figure professionali tecniche, deve necessariamente aggiungersi anche l’advisor legale. 

Tags:

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *